Faccia a faccia: Jordin Canada x Jrue Holiday

Atlete* e atleti*

I giocatori di basket nati a Los Angeles riflettono su cosa significa vivere in un ambiente sperimentale e aderire ai movimenti per la giustizia sociale.

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Come Jordin Canada e Jrue Holiday hanno lottato per la giustizia mentre vivevano in una bolla

"Faccia a faccia" è una serie che presenta conversazioni improvvisate tra atleti e atlete di élite Nike.

In piena pandemia di coronavirus, nel maggio 2020, NBA e WNBA hanno portato i loro atleti in Florida per farli vivere e giocare a basket in una "bolla", un'area di quarantena allestita per continuare a giocare relativamente protetti dalla diffusione dilagante di COVID-19. L'entrata nella bolla della maggior parte dei giocatori ha però coinciso con un periodo di grandi disordini a carattere razziale e accese proteste provocate dall'ingiustizia sociale negli Stati Uniti. Lo scrittore ed editor Massaër Ndiaye ha intervistato due cestisti originari di Los Angeles: Jrue Holiday dei Milwaukee Bucks, che milita nel basket professionistico da 11 anni ed è considerato uno dei migliori difensori al mondo, e Jordin Canada delle Seattle Storm, una vera e propria rivelazione WNBA che ha da poco conquistato il suo secondo anello in tre stagioni decisamente difficili. In questa intervista i due atleti ricordano l'esperienza ai limiti del surreale vissuta lo scorso anno all'interno della bolla, la nuova consapevolezza politica acquisita e il modo in cui il tempo trascorso lontano da casa ha consolidato la loro prospettiva del mondo di cui sono parte.

Siete entrambi cresciuti a Los Angeles. Vi trovavate lì durante le ultime proteste? Come vi siete sentiti di fronte alla reazione della vostra città in quel periodo?

Jrue: Mi sono sentito orgoglioso della mia città, delle persone che lottano per ciò in cui credono, di quelli che lottano per la nostra cultura e il nostro essere neri. Non ho preso parte a nessuna delle proteste. Mia moglie era incinta e comunque siamo ancora nel mezzo di una pandemia, ma mi sono sentito davvero combattuto. Anch'io volevo scendere in piazza con gli altri, far sentire la mia voce e fare la mia parte. A ogni modo, il semplice fatto di vedere le persone prendere posizione in difesa di un ideale e lottare per le proprie convinzioni è un vero onore per me. Mi sarebbe davvero piaciuto unirmi a loro nella protesta.

Jordin: Ho partecipato a una delle proteste a Hollywood in uno dei momenti peggiori, perché la pandemia si stava diffondendo molto rapidamente a Los Angeles. È stato difficile. Volevo adottare tutte le precauzioni e non correre rischi, ma allo stesso tempo, vedere la gente scendere in strada per esprimere il proprio sostegno, non solo nei confronti della comunità nera ma anche del paese, mi ha riempito di orgoglio. Stiamo attraversando un momento cruciale e vedere la gente ritrovarsi per protestare in nome dei diritti umani e della vita dei neri è stato memorabile. In tantissimi hanno manifestato per invocare un cambiamento e io sono contenta di aver partecipato alla mia prima protesta. È stato un momento davvero speciale.

"Non sono mai stata attiva a livello politico o consapevole a livello sociale e non mi sono espressa su molti degli avvenimenti in corso. Ma dopo l'anno appena trascorso, sento che è mia responsabilità fare qualcosa. Non posso restarmene seduta a guardare."

Jordin Canada

Quest'anno, siete entrambi entrati nella bolla dell'NBA, un grande esperimento su come si possano praticare gli sport in modo sicuro durante la pandemia. Come ne siete venuti a conoscenza e quali sono state le vostre prime impressioni?

Jrue: Avevo parecchi dubbi al riguardo. Capita spesso di sentire persone fare previsioni su qualcosa che alla fine non si concretizza. Per cui il fatto di essere riusciti anche solo a entrare nella bolla, in un vero e proprio lockdown, lo considero di per sé un grande successo. Io mi sono sentito al sicuro. Venivamo testati ogni giorno e le attività non mancavano. Ma è stata soprattutto un'esperienza che andava vissuta con la speranza che il tutto funzionasse. A volte non è facile, quando non sei tu ad avere il controllo e devi affidarti ad altri. Per quel che mi riguarda, l'NBA ha fatto un lavoro eccellente.

Jordin: Avevamo molti dubbi legati alla sicurezza, ai protocolli e alle linee guida, e sul modo in cui veniva gestito il tutto, anche se non sapevamo cosa ci aspettava.

Come Jordin Canada e Jrue Holiday hanno lottato per la giustizia mentre vivevano in una bolla

Com'è stato ritrovarsi completamente isolati dal mondo esterno?

Jrue: Una volta dentro è stato strano sentirsi limitati. Sono 11 anni che gioco in NBA, ovvero 11 anni di libertà. E insomma, due mesi di bolla... Ma c'era un obiettivo finale a cui tutti ambivamo e non avevamo intenzione di mandare tutto all'aria. Quindi ci siamo abituati al nuovo regime e alla disciplina. All'inizio credevo che sarebbe stata dura, ma alla fine non è stato così tremendo.

Jordin: Dovevamo abituarci. Era come partire per l'estero e dover osservare due settimane di isolamento. Dovevamo restare nelle nostre camere, non potevamo vederci tra compagne se non durante gli allenamenti o le riunioni di squadra e non erano previsti contatti con le altre squadre. Ma non appena la situazione ha iniziato a migliorare, è stato più facile. Hanno allentato un po' la presa e ci hanno permesso di stare sia con le nostre compagne di squadra che con le altre giocatrici.

Passavamo la maggior parte del tempo in camera a cercare di tenerci occupate. Come hai fatto notare tu, eravamo state preparate ad affrontare situazioni del genere. Tuttavia, ritrovarsi a vivere in una bolla da sole, senza nessuno che ti venisse a trovare o da frequentare è stato incredibilmente difficile e a volte mentalmente estenuante. Ma mi ha insegnato a essere più forte, a non perdere la concentrazione e a non cambiare mentalità, a non dimenticare che ero lì per giocare a basket. Contava solo il basket, nient'altro. Tranne in quei momenti in cui potevo guardare Netflix e film a tutto spiano, praticamente l'unica cosa che potessi fare.

Avete notato dei cambiamenti a livello agonistico e di intensità di gioco all'interno della bolla?

Jrue: La qualità del gioco era la stessa. Penso che ogni squadra sapesse di trovarsi lì per un motivo preciso: vincere. Ma quando giochi in casa c'è il pubblico che ti dà la carica, che ti trasmette quell'energia che destabilizza l'avversario con il fragore dei tifosi o qualunque altra cosa. Era una palestra silenziosa. Ricordo la nostra prima partita contro i Jazz. Eravamo in vantaggio di 20 punti, ma a circa 2 minuti dalla fine il divario si era ridotto a soli 2 punti. Eppure non ci sentivamo col fiato sul collo; si capiva che mancava il pathos del pubblico a segnare il cambio di scenario. Questa è una delle cose a cui ho davvero dovuto abituarmi. Quando giochi di fronte a un pubblico, anche in trasferta, è la tua squadra contro il resto del mondo. Nella bolla, questa sensazione era del tutto assente. Il fatto di giocare in una palestra vuota, all'inizio, mi ha un po' spiazzato.

Jordin: Sono d'accordo; senza pubblico non era la stessa cosa. C'era un silenzio assordante. Mi viene in mente la nostra prima partita contro New York: silenzio assoluto a ogni tiro libero. Eravamo abituate all'energia che ci infondeva il pubblico e stava alla squadra compensarne la mancanza con il proprio entusiasmo. Partita dopo partita, potevamo trovare quell'energia solo in noi stesse e da nessuna altra parte. Anche il livello agonistico era molto elevato perché non c'era il vantaggio di giocare in casa. Potevamo scendere in campo senza freni, come se fossimo in una palestra aperta. È stato molto divertente, molto competitivo. Abbiamo vinto ma anche perso inaspettatamente proprio per la mancanza di pubblico. È stato fortissimo.

Come Jordin Canada e Jrue Holiday hanno lottato per la giustizia mentre vivevano in una bolla

"Vuoi fare tutto il possibile per rendere il futuro un posto migliore per la comunità nera."

Jordin Canada

Nel preciso istante in cui è stato deciso che entrambe le leghe avrebbero giocato dentro delle bolle, il basket è diventato il palcoscenico di giustizia sociale più grande al mondo. In che modo ne parlavano giocatori e giocatrici? Come avete deciso se inginocchiarvi o meno e cosa indossare sopra le maglie?

Jordin: Sapevamo che avremmo dovuto aderire alla campagna "Say Her Name" ancor prima di decidere se ci sarebbe stato o meno un campionato da giocare. Quanto all'inginocchiarsi, la scelta spettava a ogni singola squadra. So che noi [Seattle Storm] non volevamo essere in campo durante l'inno nazionale. Quando arrivava il momento dell'inno, rientravamo nello spogliatoio per ritornare in campo poco prima dell'inizio partita. Nel corso della stagione, abbiamo parlato di come far sentire la nostra voce per convincere le persone ad andare a votare. Volevamo anche che fossero consapevoli di quanto stava succedendo nel paese, mentre lottavamo per una donna nera vittima della brutalità della polizia.

Jrue: Il dialogo tra squadre e giocatori è importante. Ci siamo inginocchiati perché lo consideravamo un segno di unità. Hanno deciso di farlo entrambe le squadre. Volevamo dimostrare di essere uniti in tutto ciò che facevamo, anche con i compagni che non volevano inginocchiarsi. Desideravamo che anche loro potessero contare su di noi, senza alcun risentimento o rancore. Era semplicemente un modo di mostrarci uniti. Sono proprio queste situazioni che mi hanno fatto tornare a giocare, qualcosa che andava ben oltre il basket. Era per tutte quelle persone che avevamo visto soccombere per mano di un altro uomo, l'essere in grado di esprimere quest'idea e mantenere vivo l'interesse sull'argomento, far sapere alle persone che il contributo offerto dalla nostra cultura è davvero grande e che continueremo a darlo.

Jrue, tua madre [Toya Holiday, Arizona State Sun Devils] è stata una star del basket. Tua moglie [Lauren Holiday, nazionale americana di calcio] entrerà negli annali del calcio. Quali dei loro insegnamenti ti sei portato nella bolla?

Jrue: Come prima cosa, mi hanno insegnato a non mollare mai. Proprio per quello che hai detto poco fa, le nostre esperienze nella bolla sono state completamente diverse. È una delle cose che ho imparato, soprattutto da mia madre, che ha fatto parte della prima lega di basket femminile. Per lei si è trattato di scegliere se andare all'estero o trovare lavoro come insegnante, cosa che ha poi deciso di fare. Ha dovuto prendere decisioni importanti e lottare. Lo stesso vale per mia moglie: nel calcio, le giocatrici non vengono pagate come gli uomini.

A dirla tutta, lei non ha mai perso, se si esclude il 2011 quando sono arrivate seconde ai campionati del mondo. Ha vinto due medaglie d'oro olimpiche e il Campionato mondiale del 2015. È un'icona. Le donne che viceversa non ottengono il riconoscimento che meritano, soffrono. Basti pensare a quelle della mia famiglia, come mia sorella che ha giocato con te, e alle persone che affermano che il talento o le abilità sono una cosa diversa: è lì che realizzi che non osservano con attenzione. In primis, le donne giocano con molta più grinta degli uomini e le loro abilità sono di livello superiore. Voi ragazze vi allenate molto più intensamente della maggior parte degli uomini che conosco, senza lamentarvi o piangervi addosso, e giocate da vere dure. Lo capisco guardando mia moglie ed è qualcosa che ho imparato anche da mia madre. Sono tenaci e determinate. Lottano da sempre e da sempre devono dimostrare chi sono.

Come Jordin Canada e Jrue Holiday hanno lottato per la giustizia mentre vivevano in una bolla

"So che protestare aiuta, ma volevo fare di più."

Jrue Holiday

Siete mai stati attivi a livello politico o sociale prima di quest'anno?

Jordin: Non sono mai stata attiva a livello politico o consapevole a livello sociale e non mi sono espressa su molti degli avvenimenti in corso. Ma dopo l'anno appena trascorso, sento che è mia responsabilità fare qualcosa. Non posso restarmene seduta a guardare.

Jrue: Ho espresso le mie idee qualche volta, ma alle discriminazioni ci si abitua. Poi, quando ti confidi con qualcuno, temi che possa pensare che stai sollevando un polverone per nulla, o che la faccenda non è poi così seria. Essere neri può far paura in qualsiasi situazione e di qualunque cosa si tratti, che sia avere a che fare con i poliziotti o semplicemente entrare in un negozio. Allora ti crei una specie di corazza. Ma a questo punto, anch'io ho la responsabilità di far sentire la mia voce. E se in passato non me la sono sentita, ora non è più così: la questione non riguarda solo me, ma tantissime altre persone. Riguarda la mia bambina di 4 anni e mio figlio appena nato. Ci sono troppe persone coinvolte.

Jrue, hai devoluto il tuo stipendio della bolla NBA ai fondi dedicati alla giustizia sociale e per sostenere il movimento Black Lives Matter di Los Angeles, Indianapolis e New Orleans. Cosa ti ha spinto a prendere questa decisione?

Jrue: A dire il vero, mi sentivo molto combattuto all'idea di entrare nella bolla. Il nostro mondo stava crollando a livello sociale e non mi sembrava di fare abbastanza. Non sapevo cosa fare o come aiutare. So che protestare aiuta, ma volevo fare di più. Me ne stavo seduto sul letto a cercare una soluzione mentre mia moglie camminava avanti e indietro. Poi a lei è venuto in mente di devolvere il resto del mio stipendio a favore della nostra cultura e alla nostra comunità. A quel punto mi si è spenta la spia ed è stato come se mi fossi tolto un peso di dosso. Possiamo continuare a girarci intorno, ma l'idea era perfetta perché i soldi sono fondamentali quando si parla di disuguaglianze tra bianchi e neri o tra ricchi e poveri. Dio mi ha dato i mezzi per giocare a basket a lungo e quindi ho guadagnato un bel po' di denaro. Non posso certo portarmelo nell'aldilà. Ci sono persone là fuori che hanno bisogno di aiuto e io, economicamente, posso fare la mia parte. Se avessi deciso altrimenti, non sarei andato nella bolla.

Quindi ti sei detto: "O così o non se ne fa niente"?

Jrue: Sentivo che mi serviva un buon motivo per lasciare mia moglie a casa al quinto mese di gravidanza ed entrare in una bolla per tre mesi. Era come abbandonarle su un'isola. Il nostro mondo si stava sgretolando e mi serviva qualcosa che mi desse non solo la motivazione, ma anche un mezzo per aiutare le persone, ovvero la nostra gente, che ne avevano veramente bisogno.

Oggi si fa molta pressione sui giovani neri, specialmente gli atleti, affinché facciano sentire la loro voce. Pensate sia vostro dovere parlare di giustizia sociale?

Jrue: Per certi versi si tratta di condividere le proprie esperienze con altri per creare una connessione, e non è cosa da poco. Credo che oggi i social media abbiano un ruolo fondamentale. Che si tratti di ingiustizia sociale o salute mentale, non puoi sempre sapere che periodo stanno attraversando gli atleti e le atlete di NBA e WNBA, perché siamo completamente assorbiti dal campionato. Ma siamo tutti esseri umani alle prese con le stesse lotte interiori. Penso che far sentire la nostra voce e trovare un punto di contatto con altre persone per comprendere i problemi che condividiamo sia un modo per sentirsi più vicini.

Jordin: Noto quanto la mia generazione sia consapevole di ciò che sta accadendo e ammiro il modo in cui desidera promuovere la giustizia sociale. Da atleta, anch'io vivo le stesse problematiche, anch'io sono un essere umano con dei sentimenti, anch'io attraverso momenti difficili. E vedere che le persone sostengono noi e altri atleti è semplicemente straordinario. Non è una questione che riguarda solo noi, ma anche il nostro futuro. Vuoi fare tutto il possibile per rendere il futuro un posto migliore per la comunità nera.

In che modo pensate che il basket possa cambiare per riflettere meglio le convinzioni politiche dei giocatori e delle giocatrici o il loro impegno per la giustizia sociale?

Jrue: So che sia l'NBA che la WNBA permettono a giocatori e giocatrici di avere più influenza sull'immagine della lega. Mi piacerebbe che la cosa non si fermasse qui. Sono convinto che continueremo a essere innovativi sotto questo punto di vista e noto che la lega è sempre più dei giocatori. Ritengo sia molto importante avere il suo sostegno quando facciamo sentire la nostra voce.

Jordin: Sono convinta che dobbiamo continuare a usare la nostra voce e trovare nuovi modi di offrire risorse alle persone che non ne hanno e a cui avrebbero diritto. Lottiamo per qualcosa che è più grande di noi e il sostegno della lega è fondamentale.

Testi: Massaër Ndiaye
Illustrazioni: Richard Chance

Report: ottobre 2020

Data di pubblicazione originale: 16 giugno 2021

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